L’arte di impiumare il serpente

La capacità di mutare pelle, trasformarci e rinascere è una risorsa che tutti noi abbiamo. Ma possiamo fare di più: mettere le ali e volare. E insegnarlo ai nostri figli, e ai figli dei nostri figli, fluendo come essere atemporali nell’immensa energia del cosmo.
Questa meravigliosa metafora, che si rifà alla mitologia del Serpente Piumato, arriva fino a noi dalla saggezza Maya-Tolteca, una cultura che – come molti di voi sanno – mi ha affascinato fin dalla prima giovinezza e ha offerto numerosi strumenti alla mia formazione. Ho approfondito questa cultura come studiosa di pratiche sciamaniche, come allieva di Alessandra Comneno e Maurizio Balboni – e come essere perennemente in ricerca del “ponte tra i mondi”, tra la concretezza del nostro quotidiano e l’essenza della vita spirituale. In tutti questi anni, ho avuto modo di innamorarmi sempre più della profondità e della saggezza Tolteca.
Ma chi è un Tolteca? Molti di noi ricorderanno vagamente di averli sentiti nominare a scuola, all’epoca dello studio delle cosiddette “civiltà precolombiane”, i più fortunati avranno forse visitato i luoghi simbolo della loro cultura, a cominciare dal meraviglioso sito archeologico di Teotihuacan, in Messico. Ma l’essenza del loro messaggio, l’ispirazione che può rappresentare per noi, e l’importanza che esso può avere per le future generazioni, spesso ci sfuggono.
Ecco perché mi fa piacere condividerne alcuni accenni con voi, nella speranza di accendere la vostra curiosità e stimolare il desiderio di saperne di più. Senza paura di confrontarci con modalità di ricerca e categorie mentali apparentemente molto lontane da quelle occidentali. Perché, come ricorda appunto un’antica leggenda mesoamericana, “gli Dei separarono la Verità in tanti pezzi che poi sparsero nel mondo. Ma gli esseri umani, ciascuno credendo che il pezzo di cui disponeva fosse “la Verità”, iniziarono a farsi a pezzi tra loro”.
Chi è dunque un Tolteca?, dicevamo. Il nome designava originariamente gli abitanti di un luogo leggendario chiamato Tollan, capitale dell’antico Messico. Si trattava di esseri umani assetati di conoscenza, dediti al mistero, ricercatori di leggi cosmiche, sperimentatori instancabili dotati di una fortissima spiritualità. Ecco perché, nei secoli successivi, furono chiamati Toltechi, come attribuito o titolo onorifico, gli uomini e le donne portatori di saggezza, dediti alla cultura e all’arte. In questo senso, ciascuno di noi può essere un Tolteca: la parola non indica, infatti, un’appartenenza etnica o un’origine geografica, bensì la possibilità, la scelta, la strada di essere “artisti della vita”, cercatori di senso, membri del popolo delle anime in ricerca.

Secondo la stupenda definizione che ne offre la mia maestra Alessandra Comneno, nel suo “Pratiche Sciamaniche, Il cammino della conoscenza silenziosa”, “il Tolteca vive in relazione con la sua famiglia estesa, visibile e invisibile. È libero da interpretazioni, non si aspetta nulla e non ha paura. Viaggia leggero, per il semplice gusto di viaggiare. (…) Cammina il sentiero dei suoi antenati, è consapevole che ogni istante della sua vita ha la stessa porosità di un sogno e per questo è modellabile. Si esercita, quotidianamente, a dissolvere lo spazio che intercorre tra lui e ciò che osserva, pratica che lo allena a uno stato di percezione allargato (…). Sorride mentre, spogliandosi di tutte le maschere che lo separano dall’essenziale, combatte l’unica vera battaglia degna di essere vinta da un essere umano: conquistare il proprio cuore”.
L’essenza profonda di questa cultura, insomma, ci insegna a saperci parte del cosmo, creature tra le creature, perennemente in cammino e perennemente in ricerca, continuamente impegnati in una trasformazione che sta a noi connotare come un’evoluzione spirituale. Da qui viene la potente metafora del Serpente Piumato: “impiumare il serpente” significa elevare le proprie energie fisiche e materiali verso un livello più elevato di consapevolezza e spiritualità. Questo implica la scelta di un lavoro personale di trasformazione che porta a integrare la propria umanità, le proprie passioni e i propri limiti, per utilizzarli come strumenti di crescita, verso l’equilibrio interiore e l’espansione spirituale. Sapersi parte del cosmo non significa affatto annacquare o rinnegare la propria natura umana, ma al contrario assumerla appieno, considerandola il punto di partenza per un’autentica crescita personale e spirituale.
Il tutto, ricordandoci che ciò che chiamiamo “realtà” è sempre e comunque la nostra “percezione della realtà”. Per questo, come ci ricorda Carlos Jesùs Castillejos, instancabile testimone dell’essenza del Cuore Tolteca, “il tuo percepito è una descrizione che hai imparato e, come tale, è modellabile, se vuoi. L’atto di percepire è sempre libero. Il percettore è un mistero che contempla il Mistero”. Non vi sarà difficile riconoscere in questo concetto l’influenza profonda che permea anche il mio modo di fare coaching basato sull’idea che agendo sui nostri paradigmi possiamo davvero cambiare noi stessi e la nostra vita.

Ma non è solo questo ad affascinarmi del messaggio Tolteca e dell’approccio di Carlos Castillejos in particolare. Tra le molte cose, mi è cara specialmente la sua costante attenzione alle future generazioni. L’idea che possiamo seminare perché altri crescano. L’idea che le nostre radici se conosciute e accolte, possano metterci ali in grado di volare alto e lontano. L’idea che sia nostra precisa responsabilità educare i nostri ragazzi a far fiorire la bellezza, anzitutto la propria e poi quella del mondo intero, sostenuti e ispirati dalla saggezza che ci precede, e di cui siamo chiamati a raccogliere il testimone.