Anime migranti

La danza degli stormi nel cielo, d’autunno, non manca mai di affascinarci. Probabilmente, è perché si tratta (anche) di una grande, meravigliosa metafora in cui ci rispecchiamo.
In questo autunno tardivo, è successo a novembre: all’improvviso nel cielo si compongono stormi immensi di uccelli pronti a migrare; si muovono all’unisono, compiono volteggi ardimentosi, disegnano spirali; sembrano inscenare vere e proprie coreografie. Ma come migrano gli uccelli? Come fanno ad orientarsi? Come sanno dove andare? Se lo sono chiesto anche gli scienziati, dedicando alla questione numerosi studi: le risposte che hanno ottenuto sono molteplici, non univoche, non definitive (e anche questo, probabilmente, è un elemento su cui meditare…)

La prima certezza è che gli uccelli migrano per garantire la sopravvivenza alla propria specie: non necessariamente a se stessi (molti muoiono durante il viaggio) ma alla propria specie. Migrano per trovare cibo, un clima più favorevole per vivere e luoghi sicuri in cui riprodursi. Migrano verso la parte illuminata del mondo: in un certo senso, cercano luce.

Sul loro senso dell’orientamento, gli studiosi hanno formulato diverse ipotesi, alcune ormai verificate, altre più difficili da provare. Gli uccelli migratori avrebbero dei “sensori” nel cervello, negli occhi e nel becco, che permetterebbero loro di allinearsi ai campi magnetici terrestri, come un vero Gps naturale. In più, sarebbero in grado di orientarsi come noi, attraverso il sole, le stelle e perfino il riconoscimento visivo della forma delle coste. Ovviamente, possono contare sull’emulazione degli altri esemplari e sulla loro stessa esperienza. Infine, potrebbero essere dotati di una vera e propria “memoria genetica”, cioè un ricordo tramandato di generazione in generazione, come un carattere ereditario.

Tutto questo è davvero incantevole: ciascuno di questi fattori, oltre ad essere interessante dal punto di vista scientifico, apre infatti a mille suggestioni e ad altrettanti spunti di riflessione.

Per cominciare, osservando le motivazioni che spingono gli uccelli a migrare, viene da pensare che in fondo non siano così diverse da quelle umane: assicurare la continuazione della specie, trovare cibo, calore e sicurezza. Forse basterebbe ricordare questo, al di là di ogni considerazione politica, per far crescere il valore dell’empatia: si migra per sopravvivere, o per andare a star meglio. È una realtà semplicissima che può cambiare il nostro sguardo.

Ma la parte più affascinante è quella che riguarda le leggi invisibili che regolano il grande movimento degli stormi. È un moto del singolo che, ci dicono gli scienziati, si accorda istintivamente con quello del gruppo e con la Terra; è un istinto che tiene conto del tempo, si nutre della ciclicità delle stagioni e trascende le generazioni. Come dire? Voliamo con le nostre ali, ma non possiamo farlo da soli. Ci muoviamo come individui, ma dentro una danza collettiva. Ci basiamo sull’esperienza, ma non solo la nostra: portiamo dentro anche il viaggio di chi ci ha preceduto.

Ecco perché, probabilmente, gli uccelli migratori ci affascinano: parlano in profondità al nostro inconscio, personale e collettivo, e hanno tantissimo da insegnarci.

Che siamo migranti o no, che abbiamo vissuto l’esperienza di lasciarci tutto alle spalle o che viviamo nel quartiere in cui siamo cresciuti, siamo tutti accomunati dal Grande Viaggio. Non a caso, il viaggio dell’eroe è uno dei grandi “topos” della letteratura e del cinema: l’Odissea e l’Eneide, il viaggio soprannaturale di Dante, ma anche gli innumerevoli viaggi di iniziazione di cui sono costellate le trame di ogni epoca.

“I viaggi sono i viaggiatori”, diceva Pessoa nel Libro dell’Inquietudine: “Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo”.

Il viaggio è la metafora per eccellenza perché tutti abbiamo un punto di partenza, un percorso, una destinazione. Un bagaglio. Spesso il nostro punto di origine è l’unica realtà che conosciamo, finché non accettiamo di partire, di metterlo in discussione, di lasciarlo. Il nostro bagaglio può essere più o meno attrezzato, in equilibrio tra il dotarci di strumenti utili e il non rimanere attaccati alle cose: che sia risorsa e non ostacolo, che sia bagaglio e non zavorra. Tutti abbiamo un percorso: ciascuno il proprio, ognuno sacro, nessuno isolato dagli altri. E quanto è importante (quanto!) riuscire a godersi il tragitto, passo dopo passo, conquista dopo conquista, caduta dopo caduta, pensando che non ci sono errori ma solo esperienze! E alla fine abbiamo una meta, che spesso non conosciamo, ma che il nostro cuore può riconoscere: è quel posto dove forse i nostri antenati sono passati prima di noi; dove possiamo trovare nutrimento più abbondante, luce e calore; dove possiamo nidificare e allevare al sicuro i nostri sogni.