Ridere, di questi tempi

Sono tempi cupi, con la guerra sotto i nostri occhi, con l’ansia che dilaga: parlare di allegria suona quasi inopportuno. Eppure, l’umorismo è una delle 24 potenzialità personali che ogni essere umano ha a disposizione, come ci ricorda la psicologia positiva. Ma perché viene annoverata tra le risorse? A cosa serve? E cosa significa che anche questa si può allenare? Vediamolo insieme.
Come ho spiegato meglio qui, chiamiamo “potenzialità” le nostre risorse interiori: il coaching umanistico ne ha individuate 24, attinenti a varie aree, e le considera il punto di partenza del lavoro su sé stessi. Accanto a caratteristiche che più facilmente associamo alle virtù – come l’audacia, l’integrità o l’autocontrollo – è interessante notare come sia presente anche il senso dell’umorismo, una capacità spesso sottovalutata o fraintesa, che siamo meno abituati a considerare uno strumento di crescita e che, invece, può rivelarsi un alleato potentissimo.
Cerchiamo prima di tutto di intenderci sul concetto di umorismo. Non è una cosa banale: Luigi Pirandello dedicò all’argomento un intero saggio che ancora si studia a scuola, Umberto Eco l’ha fatto oggetto dei suoi scritti, le scuole psicanalitiche più recenti se ne sono occupate ampiamente e, pochi giorni fa, l’Università per stranieri di Siena ha indetto un’interessante giornata di studi internazionale per esplorare l’umorismo in termini di interculturalità. In più, uno dei più vivaci dibattiti culturali degli ultimi tempi è stato generato dalla presa di posizione di un autore satirico, Zerocalcare, che ha rinunciato a partecipare a un importante appuntamento pubblico confessando un “cortocircuito” morale legato al conflitto israelo-palestinese. E forse proprio in questo termine, “cortocircuito”, sta un indizio delle possibilità dell’umorismo: in un tempo di pseudo verità assolute, di polarizzazioni feroci, di schieramenti facili, ammettere un cortocircuito interiore, cioè un dubbio che non si riesce a sciogliere, una posizione in bilico, un senso di fatica a ridurre la realtà a tifo da stadio, è di per sé una posizione interessante, che forse non casualmente è stata espressa da chi ha fatto dell’ironia la propria chiave di lettura della realtà.
Il senso dell’umorismo, da dizionario, è “la capacità di cogliere e rappresentare gli aspetti più curiosi e divertenti della realtà, che possono suscitare il riso o il sorriso”. Il celebre Oxford Dictionary, però, sottolinea come l’umorismo richieda per definizione “l’intervento di un’intelligenza arguta e pensosa e di una profonda e spesso indulgente simpatia umana”. Non stiamo parlando di comicità o di talento nel raccontare efficacemente le barzellette, quindi, ma di un vero e proprio sguardo sulle cose. Per il coaching umanistico, il senso dell’umorismo è un modo attivo di stare nelle situazioni: richiede pensiero laterale, capacità di contestualizzare, intelligenza ed empatia. Il senso dell’umorismo, infatti, non è sarcasmo: tiene conto della sensibilità degli altri ed è un atteggiamento intrinsecamente positivo, costruttivo e benefico. È capacità di alleggerire ma non è superficiale, non ignora l’elemento di sofferenza, ma tende a sublimarlo. Allegria e ironia hanno la caratteristica di portare le cose su un altro piano: non a caso, la virtù a cui il coaching umanistico associa l’umorismo è la Trascendenza! Questa potenzialità condivide la sua “casa” con propensioni come la spiritualità, la gratitudine, l’apprezzamento della bellezza e la speranza: tutte attitudini che spingono ad andare oltre se stessi; oltre lo stato d’animo del momento; oltre i confini dell’educazione, della cultura, della logica; oltre l’apparenza, alla ricerca di un significato più grande di noi. L’umorismo richiede la disponibilità a dubitare.
Ecco perché, in un qualsiasi sistema umano, dalla famiglia all’azienda alla società, il senso dell’umorismo può essere una ventata d’aria fresca e una breccia da cui far entrare luce: di fatto, è un modo per ridimensionare le difficoltà, naturalmente non al fine di evitarle, ma al contrario al fine di affrontarle e superarle. Come tutti gli appassionati di Harry Potter ricorderanno, una delle migliori trovate d J.K. Rowling è quella del “Molliccio”, un mostro capace di assumere la forma delle nostre peggiori paure. La parola magica per sconfiggerlo? “Riddikulus!”. Ecco, il senso dell’umorismo è questo: un incantesimo contro la paura, un atto di consapevolezza che non tutto finisce qui, ora, con noi. Che c’è sempre dell’altro rispetto a quello che vediamo.
In questo senso, la potenzialità dell’umorismo si può allenare, come tutte le altre: non cercando di diventare divertenti a tutti i costi, ma esercitando la capacità di “rovesciamento”, cambiando sguardo, prendendo in considerazione un altro punto di vista. Senza perdere l’empatia, perché l’umorismo benefico ride con gli altri, non degli altri. Come scriveva Umberto Eco, “forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità, fare ridere la verità”.