Quando qualcosa finisce: trasformarsi per crescere

Ogni fine è un terremoto emotivo. Per un adolescente, dire addio a un anno scolastico, lasciarsi alle spalle una storia d’amore estiva, abbandonare un luogo che ha significato felicità durante le vacanze può generare momenti di confusione, pieni di emozioni contrastanti. Anche i genitori e gli educatori, nel loro ruolo, si trovano spesso a gestire queste turbolenze emotive, mentre cercano di accompagnare i ragazzi nella loro crescita. In Alicubi, per esempio, abbiamo speciali programmi dedicati ai ragazzi alle prese con gli esami di terza media: il primo momento della vita scolastica, nel nostro sistema, in cui si è chiamati a confrontarsi con il concetto stesso di “esame”; quindi, per quasi tutti, un momento di tensione, ansia da prestazione e fatica. Ma anche un momento potenzialmente bellissimo, in cui misurarsi con se stessi, raccogliere soddisfazioni e dare, a ciò che abbiamo imparato, la possibilità di brillare.
“Sentirsi crescere”, del resto, è un percorso difficile proprio perché sempre ambivalente: eccitante, esaltante, ma a tratti anche feroce. Un misto di paura e voglia di cambiamento, che si unisce al timore di perdere persone importanti o di lasciarsi alle spalle momenti felici e irripetibili. La mente si affolla di domande: “Questi amici resteranno parte della mia vita?”, “Riuscirò ad affrontare un nuovo ciclo scolastico?”, “Troverò mai un luogo così speciale come quello che ho appena lasciato?”. Questi sentimenti non sono una minaccia: perfettamente naturali e totalmente legittimi, possono diventare, se accolti, il motore di una crescita straordinaria. “Proprio perché tutto si ripete e non si ripete mai – diceva Rilke – tutto diventa finalmente intimo, e si avvicina a noi, e ci tocca, e ci trasforma, e ci rende più vivi”.
Quando qualcosa finisce, diverse emozioni convivono. La tristezza: per ciò che si lascia andare, che sia un’esperienza positiva o un legame affettivo. La paura: della novità e del cambiamento, perché accompagnati dall’incertezza sul futuro. La nostalgia: per via del desiderio, umanissimo, di rivivere un momento passato, rendendosi però conto che non tornerà. Anche la rabbia: perché non sempre siamo a noi scegliere i tempi e i modi in cui una cosa finisce.
Queste emozioni hanno un impatto profondo: lì per lì possono farci sentire dolore, ma certamente non sono mai inutili. Riconoscere il nostro vissuto e assumerlo senza giudizio, senza rancori né rimpianti, semplicemente benedicendo la strada prima ancora della meta, è un passo fondamentale per crescere, a qualsiasi età. Per un ragazzo o una ragazza, però, dare spazio alle emozioni senza reprimerle può essere particolarmente difficile, perché spesso gli stati d’animo sono intensi e difficili da decifrare anzitutto per chi li prova! Anche per i genitori e gli educatori il compito non è semplice, perché occorre bilanciare empatia e fermezza, comprensione e capacità di guidare.
Provare tristezza per la fine di qualcosa è normale, ma è importante che questa tristezza non rimanga bloccata: parlarne, scrivere i propri pensieri, o semplicemente condividere le emozioni con qualcuno aiuta a trasformare il dolore in consapevolezza. Ricordandoci che ogni emozione ha un messaggio per noi, e molto da insegnarci su chi siamo: ogni buio, per dirlo con la metafora che ho scelto per il mio ultimo libro, contiene la sua stella.
La capacità di guardare il passato con gratitudine, anche nei momenti più difficili, permette di costruire la nostra personale visione del futuro e ci offre l’opportunità di ricominciare con nuove consapevolezze, nuovi obiettivi e un cuore più aperto. Alla fine di un ciclo scolastico, potremo ringraziare per le lezioni apprese, e non solo a livello di conoscenze didattiche: le amicizie strette, i successi ottenuti, gli errori commessi sono tutti doni da onorare e di cui fare tesoro.
Come sapete, credo molto nella forza dei rituali, e penso che, per suggellare una fine, possano essere particolarmente preziosi. Scrivere una lettera di addio, raccogliere foto o ricordi, trovare un modo per celebrare l’esperienza, anche condividendola con amici e famiglia, può aiutare a dare un senso di completamento. A noi adulti spetta il compito di incoraggiare i ragazzi a esprimere ciò che sentono, creando uno spazio sicuro per il dialogo, e insegnando loro a rivolgere lo sguardo, con fiducia, verso il futuro. Come sempre, è imprescindibile praticare la gratitudine: accogliere ciò che è stato come un dono, in ogni caso prezioso e significativo, fa del passato risorsa e forza anziché palude e rimpianto.
E poi… ogni fine ha in sé il seme di un nuovo inizio. Forse noi l’abbiamo sperimentato vivendo, ma per una ragazza o un ragazzo può essere un concetto davvero nuovo e dirompente. Per quanto difficile possa sembrare lasciare andare qualcosa, è lì che risiede l’opportunità di scoprire nuovi orizzonti, stringere nuovi legami, crescere come persone. Vivere è cambiare, ad ogni età e specialmente nell’adolescenza: è questo moto perpetuo che rende la vita così piena di possibilità. La fine non è una perdita, ma una trasformazione. Se l’hai dimenticato, chiedi alla farfalla.